8° centenario del presepe di Greccio (1223-2023)

Natale Greccio

Ecco il racconto completo del "presepe di Greccio", nel suo 8° centenario, seguito da un estratto del commento che ne fa don Chino Biscontin, mettendo in luce il suo profondo significato nel contesto del momento drammatico che Francesco d'Assisi stava vivendo in quella fase della sua vita:

Dalla Vita Prima di Tommaso da Celano (prima biografia su S. Francesco d'Assisi)

Capitolo XXX
DELLA MANGIATOIA CHE PREPARÒ
NEL GIORNO DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE

     La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di seguire fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e il fervore del cuore l’insegnamento del Signore nostro Gesù Cristo e di imitarne le orme.
     Meditava continuamente le sue parole e con acutissima attenzione non ne perdeva mai di vista le opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente voleva pensare ad altro.
     A questo proposito dobbiamo raccontare, richiamando devotamente alla memoria, quello che realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale di nostro Signore Gesù Cristo.
     C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa quindici giorni prima della festa della Natività, il beato Francesco lo fece chiamare, come faceva spesso, e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio l’imminente festa del Signore, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato; come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, quell’uomo buono e fedele se ne andò sollecito e approntò, nel luogo designato, tutto secondo il disegno esposto dal santo.
     E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati frati da varie parti; uomini e donne del territorio preparano festanti, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per rischiarare quella notte, che illuminò con il suo astro scintillante tutti i giorni e i tempi.
     Arriva alla fine il santo di Dio e, trovando che tutto è stato predisposto, vede e se ne rallegra. Si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
     Questa notte è chiara come pieno giorno e deliziosa per gli uomini e per gli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al rinnovato mistero. La selva risuona di voci e le rupi echeggiano di cori festosi. Cantano i frati le debite lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
     Il santo di Dio è lì estatico di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante pieno di devota compunzione e pervaso di gaudio ineffabile. Poi viene celebrato sulla mangiatoia il solenne rito della messa e il sacerdote assapora una consolazione mai gustata prima.
     Francesco si veste da levita, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora è un invito per tutti a pensare alla suprema ricompensa. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva pronunciare Cristo con il nome di «Gesù», infervorato d’immenso amore, lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava come il belato di una pecora, riempiendosi la bocca di voce ancor più di tenero affetto. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e deglutire tutta la dolcezza di quella parola.
     Vi si moltiplicano i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Vide nella mangiatoia giacere un fanciullino privo di vita, e Francesco avvicinarglisi e destarlo da quella specie di sonno profondo. Né questa visione discordava dai fatti perché, a opera della sua grazia che agiva per mezzo del suo santo servo Francesco, il fanciullo Gesù fu risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e fu impresso profondamente nella loro memoria amorosa. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
     Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia i giumenti e gli altri animali. E davvero è avvenuto che, nel territorio circostante, molti animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne, durante le doglie di un parto lungo e doloroso, ponendosi addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne sono stati guariti da molti mali.
     Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra la mangiatoia è stato costruito un altare ed è stata dedicata una chiesa in onore del beatissimo padre Francesco, affinché là dove un tempo gli animali mangiarono il fieno, ora gli uomini possano mangiare, per la salute dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con infinito e ineffabile amore ha donato sé stesso per noi; e ora con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen.

(Fonti Francescane 466-471)

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Dal libro "San Francesco" di don Chino Biscontin (p. 18ss.):
     Francesco [...] nel tardo autunno del 1223 sta attraversando il periodo più duro di tutta la sua esistenza, e di questo si deve tener conto. La tradizione agiografica che ci tramanda il ricordo del presepio di Greccio, infatti, isola questo episodio dal contesto biografico in cui è avvenuto, e lo descrive con tratti di una dolcezza romantica. Francesco, al contrario, lo visse in condizioni esistenziali drammatiche, in uno stato di depressione che sconfinava nella disperazione (qualche mese dopo, a La Verna, sarà tentato di buttarsi dall'alto di uno strapiombo). Cerchiamo di capire il perché di tanto malessere.
     Certamente vi contribuiva il rapido deterioramento del suo stato di salute. [...]
     E tuttavia non erano solo le grandi sofferenze fisiche a prostrarlo. Tra lui e il movimento francescano era andata via via accentuandosi una frattura che negli ultimi mesi era diventata una voragine. [...] Quella crisi era diventata acuta in occasione della stesura di quella che doveva essere la Regola definitiva dei frati. [...] Non si può dire che la Regola bollata abbia tradito lo spirito di Francesco. Egli si riconobbe nella Regola, affermò in diverse circostanze di volerla osservare (in maniera solenne anche nel Testamento) e che fosse osservata fedelmente dai frati. [...] Se non vi fu, dunque, un tradimento del pensiero di Francesco, tuttavia si deve ammettere che vi fu un evidente cambiamento di tono generale. L'attenzione giuridica prevalse sulla preoccupazione di Francesco, quella di trasmettere un'anima, uno spirito, attraverso la lettera della Regola. E Francesco prevedeva chiaramente che la minore attenzione allo spirito non avrebbe garantito neppure l'osservanza profonda, interiore, della Regola così come risultava ora scritta. Vi percepiva un'attenuazione di quel continuo riferimento ai Vangeli presi alla lettera e alla volontà di seguire in tutto e da vicino la via di Gesù, che era il senso della sua vocazione. [...] È su questo terreno che Francesco dovette constatare quanto molti ministri dell'Ordine, e con essi la Curia romana, si stavano allontanando dalla traiettoria sulla quale egli fino ad allora aveva camminato e cercato di far camminare i suoi seguaci. E questo provocava in lui uno stato di tensione, che sconfinava nell'angoscia e lunghi tratti di mutismo, e anche crisi di pianto irrefrenabile, oppure scoppi di aggressività. [...]
     Ma non erano le malattie e il senso di isolamento e incomprensione ciò che più faceva soffrire Francesco. C'era di peggio. [...] Egli cominciò a dubitare di sé stesso, si chiese se non fosse lui a vederci poco chiaro, a sbagliare. Giunse persino a temere di aver completamente frainteso la volontà di Dio, di aver seguito una propria traiettoria e non, come aveva creduto, quella indicatagli da Gesù. Furono questi dubbi, questi pensieri che sconvolsero la sua anima nel profondo e lo portarono fino al margine della disperazione. [...] Manifestò dei bisogni umanissimi, quelli che si provano quando la malattia e la depressione provocano regressione ai bisogni primari: talvolta chiedeva che qualcuno gli tenesse la mano, un'altra volta in un eremo chiese del vino (e non ce n'era), un'altra ancora chiese ad un frate di procurarsi in segreto una cetra e che lo confortasse con il canto (e ne ebbe un diniego).
     È in questo contesto che va compreso quanto avvenne a Greccio in quella notte di Natale del 1223. [...] La gioia e la commozione non mancarono. Ma per Francesco l'episodio avviene in un contesto che era, come abbiamo visto, drammatico. L'attenzione va concentrata sulla frase che esprime il desiderio e l'intenzione di Francesco: «Vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato; come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». L'anima non risponde più, sommersa com'è dal dubbio e dalla depressione. Allora Francesco, come aveva fatto altre volte, ricorre al corpo. Vuol vedere "con gli occhi del corpo" la povertà e i disagi di Gesù a Betlemme. Vuole affermare con il corpo ciò che l'anima sembra non essere più in grado di reggere: non si è sbagliato riguardo a Gesù, non si è sbagliato riguardo al fatto che per seguirlo si deve accettare la sua povertà e la sua emarginazione.
Come un naufrago, con la forza della disperazione, afferra una tavola che gli capita a tiro per non annegare, così Francesco si aggrappa a Gesù per salvarsi da quello che avverte come il naufragio della sua esistenza. Nel Gesù di Betlemme, indifeso e misero, neonato adagiato sul fieno di una mangiatoia, in una stalla. Francesco troverà un palpito di consolazione, ma non sarà ancora la luce. Perché tutto quel buio venga squarciato dalla luce dovrà attendere ancora quasi nove mesi. È sul monte della Verna che Francesco troverà la pace, persino la gioia.

Buon Natale del Signore Gesù!

GreccioGiotto, affresco "Il Presepe di Greccio", Basilica superiore di San Francesco d'Assisi, Assisi 1295/1299 ca.