Un po' di storia
Prima del ritorno
Il 1938 segna la data del ritorno dei Frati Minori Conventuali (francescani) a Trieste.
La fine della precedente presenza risaliva al 1783 con la soppressione da parte del governo asburgico di Giuseppe II. Con la successiva soppressione napoleonica tutti i conventi francescani sparirono dalla zona istriana. Finiva una presenza che, secondo la tradizione, risaliva allo stesso sant’Antonio: ipotesi non del tutto sicura nella facilità con cui si voleva “nobilitare” la storia di un insediamento ascrivendolo al passaggio di un personaggio famoso. Non improbabile tuttavia tenendo conto della storia del non lontano insediamento di Gemona con tradizioni antoniane supportate dalla storia.
La tradizione fissa al 1229 la fondazione del primo insediamento francescano, con il titolo di San Francesco a cui si aggiunse successivamente quello di Sant’Antonio, con la chiesa consacrata nel 1234 dal vescovo Givardo I.
Nel 1246 è già documentata la presenza della confraternita di San Francesco che raccoglie membri delle famiglie più ragguardevoli della città, segno dei legami forti che i francescani tessono nelle città in cui si innestano, nucleo di quel Consiglio di Patrizi che reggeranno la città, avendo il loro punto di riferimento nel convento fino all’anno 1787.
La chiesa venne ricostruita nel 1560 e successivamente modificata nel 1774, mutando il titolo in Beata Vergine del Soccorso per la presenza della pala, collocata sopra l’altare maggiore ed eseguita a Graz da Federico Emmerth, copia della tela di Pietro de Pomis che si trova tutt’ora nella chiesa dei Frati Minori Conventuali di Graz.
Nel piano della politica ecclesiastica giuseppinista, nel 1783 il convento veniva soppresso. Si chiudeva così una lunga presenza francescana a Trieste, che nel corso dei secoli aveva avuto il suo rigoglio e la sua decadenza.
Rigoglio nel legame stretto con la città: nel convento aveva sede una scuola dotata di una ricca biblioteca, unica scuola fino al 1620, quando un’altra fu aperta dai gesuiti; importanti documenti per la storia della città venivano conservati nel convento. Nel corso del XVII secolo il legame tra frati e città si rafforzò grazie alla devozione a sant’Antonio proclamato nel 1666 compatrono della città di Trieste assieme ai Santi Martiri locali.
La devozione al Santo di Padova aumentò e i fedeli cominciarono a chiamare la chiesa dei Minoriti Sant’Antonio invece di San Francesco.
Chiesa della Beata Vergine del Soccorso (Sant’Antonio Vecchio)
Nel frattempo sorse anche un’altra confraternita intitolata a Sant’Antonio Taumaturgo, la quale accettava fra i suoi membri sia patrizi che plebei. Per parecchio tempo le due confraternite convissero pacificamente, ma nel 1766 si verificò una accesa disputa circa il diritto di precedenza nella processione del Santo e la confraternita di Sant’AntonioTaumaturgo abbandonò la chiesa dei francescani con gli stendardi e la statua e si stabilì temporaneamente presso la chiesa del Rosario. Gli iscritti alla confraternita stabilirono poi di edificare una propria chiesa, ciò che fecero, con il permesso del Vescovo Antonio Ferdinando conte di Herbestein.
Sorse così la chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo nel Borgo Teresiano, e il popolo, per distinguere le due chiese, le denominò per semplicità Sant’Antonio Vecchio e Sant’Antonio Nuovo.
Il declino iniziò sul finire del secolo XVII: nel 1695 per ordine imperiale il convento passava dalla Provincia religiosa di Dalmazia a quella della Stiria. Nel 1783 veniva soppresso e adibito a cancelleria vescovile; parzialmente abbattuto in una sua parte nel 1816 al fine di creare uno spazio pubblico, definitivamente distrutto nel 1847 per il prolungamento dell’attuale via Cavana. La biblioteca veniva dispersa; la pala raffigurante san Francesco rifluiva in episcopio e successivamente collocata nella chiesa della Madonna del Soccorso; altre pale, nella chiesa dei mechitaristi.
Calava così il silenzio su una storia secolare.
Gli antefatti del ritorno
Il 17 novembre 1938 i frati ritornano nuovamente Trieste.
Un ritorno maturato progressivamente nel desiderio di essere presenti in una città importante, porta e frontiera tra mondo latino e
mondo slavo, città proiettata sul mare, rilevante epicentro commerciale.
Fin dal 1911, quando Trieste era ancora il porto dell’Impero asburgico, all’indomani della ricostituzione della Provincia Veneta di Sant’Antonio, staccatasi dalla Provincia Dalmata di San Girolamo, erano stati fatti dei progetti per essere presenti in città.
Documenti presenti nell’archivio del convento di Trieste, indicati in una memoria del 1965, intitolata “Ventisette anni dopo” ed elaborata dall’archivista p. Serafino Guarise, segnalano contatti avvenuti negli anni tra il 1919 e il 1922 tra il vescovo di Trieste mons. Luigi Fogar e p. Alfonso Orlini, allora guardiano a Pirano con l’ipotesi di un ritorno a Trieste dei frati.
La storia dell’effettivo rientro ha un primo documento nella lettera del 6 dicembre 1937 di mons. Carlo Mecchia vicario generale
della diocesi, indirizzata a p. Orlini chiedendo che sia il provinciale a venire a Trieste “per vagliare il progetto e intenderci”.
Il 13 dicembre 1937 p. Vittore Chialina si reca a Trieste, lasciandoci un memoriale della sua visita e delle sue considerazioni.
In pochi giorni tutto è pronto. Il 15 dicembre 1937 p. Chialina scrive all’amministratore apostolico mons. Carlo Margotti “... Dopo
aver trovato un piccolo nido in quella zona, metterei tutto nelle mani della Provvidenza la quale non ci ha mai mancato di assistenza sia nel mantenere i padri e i confratelli e i numerosi studenti sia nel costruire chiese, conventi, patronati parrocchiali, nelle diverse città dove svolgiamo il nostro lavoro sotto la protezione di san Francesco e di Sant’Antonio ...”; il 22 dicembre 1937 riceve il consenso unanime del definitorio generale che approva l’apertura di una nuova casa; il 31 dicembre 1937 ottiene l’assenso del vescovo Carlo Margotti che mette le mani avanti premurandosi di avvertire che “l’Ordinario è impossibilitato a qualsiasi aiuto materiale ... si potrà aprire una cappella provvisoria che dovrebbe essere il centro pastorale che con il tempo
potrebbe venir sistemato in regolare parrocchia ...”; il 12 gennaio la Congregazione dei Religiosi autorizza il ministro generale all’erezione del convento, canonicamente eretto il 16 gennaio; l’11 maggio il definitorio provinciale approva la trattativa del provinciale con il chiaro obiettivo che fosse costituita una realtà parrocchiale; il 18 maggio 1938 p. Chialina firma l’atto di acquisto del terreno dai proprietari Fogolin e Polacco. In pochi mesi tutto è pronto per la successiva fase dell’insediamento nella zona Scoglietto.
Dal primo insediamento alla costruzione della chiesa e convento
Un problema ricorrente nella storia della presenza triestina è quello relativo alla chiesa e al convento. La documentazione conservata nell’archivio della curia provinciale sembra riguardare sostanzialmente questo aspetto, che sappiamo essere stato importante nella gestione della vita quotidiana, senza tuttavia esaurirla in modo esclusivo.
Il 17 novembre 1938 arrivarono i primi frati, inizialmente ospitati dai frati Cappuccini di Montuzza: due fratelli, fra Federico Marchiori e fra Pietro De Rossi, accompagnati da p. Vittore Chialina. Pochi giorni dopo, il 26 novembre, il primo guardiano designato p. Vigilio Fedrizzi, subito dimissionario, sostituito il 29 novembre da p. Ambrogio Mosconi, proveniente dalla parrocchia di Milano, che sarà il pioniere della storia francescana triestina fino al 1952.
P. Fulgenzio Campello, p. Ambrogio Mosconi e p. Egidio Eccher
davanti alla prima cappellina di San Francesco in via dello Scoglio (1939)
Nel gennaio 1939 si lavora per sistemare quella che era la rimessa della carrozza (e stalla) in via dello Scoglio al fine di ricavare una piccola cappella: il 19 febbraio il vescovo Antonio Santin può benedire il piccolo oratorio intitolato a San Francesco, e il giorno successivo, per la prima volta, rintocca la campana di 90 kg donata dal guardiano di Vicenza p. Benedetto Peroni.
A pochi mesi di distanza si avvia il progetto per la costruzione di una cappella più capiente in via Giulia. Il 10 ottobre 1939 si inizia la costruzione del muraglione di sostegno retrostante l’abside della erigenda chiesa; i lavori veri e propri vengono avviati l’11 febbraio 1941, con la posa della prima pietra nel mese di marzo; il 6 agosto viene trasferita la campana precedentemente nell’oratorio di via Scoglio e il 4 ottobre 1941 il vescovo Santin può benedire la nuova cappella nel giorno del santo patrono. L’ambiente, tutt’ora esistente, sarà successivamente utilizzato come sala di incontri con il nome di “Franciscanum”.
Lo scavo per la erigenda chiesa ed il muraglione di sostegno (1939)
A destra è visibile la ex villa Fogolin, prima abitazione dei frati
Costruzione della cappella di San Francesco (1941)
Interno della cappella di San Francesco
Fondamenta dell’abside della nuova chiesa di S. Francesco (1942)
Non fu impresa facile arrivare alla costruzione della chiesa come la possiamo vedere oggi per le difficoltà tecniche nello sbancamento della costa retrostante per fare spazio alla chiesa con l’asportazione di 17.000 mc di materiale e i difficili tempi di guerra. Avviati nel 1941, i lavori vengono sospesi nel novembre 1942 per la morte dell’impresario padovano Antonio Bergamo. Nel febbraio 1943 i lavori riprendono a rilento affidati all’impresa edile Primo Costantin di Fossalta di Piave, con ulteriore interruzione nel dicembre 1944, quando tutta la manodopera disponibile viene requisita dall’organizzazione paramilitare tedesca Todt, e uno spezzone di bomba causa notevoli danni nelle strutture realizzate fino ad allora.
La chiesa al momento dell'interruzione dei lavori (1944)
Ripresa dei lavori (1945)
Inizio delle Celebrazioni Eucaristiche (1948)
Il progetto viene ripreso nell’ottobre 1945, portando a compimento la struttura come è visibile oggi. Il 26 maggio 1948 è completata la pavimentazione, anche se già dal mese di aprile vengono celebrate le messe della comunità.
Possiamo parlare di una fase ulteriore di intervento negli anni ’50 e ‘70, quando si dovette mettere mano a vari interventi correttivi, legati anche alla povertà dei materiali impiegati nella costruzione, al fine di sanare le pareti, rafforzare le fondazioni, chiudere le finestre delle cappelle laterali per i problemi collegati al fenomeno meteorologico della bora, abbellire ulteriormente la chiesa con il solenne altare maggiore dove furono collocate copie delle statue donatelliane (Crocefisso, san Francesco e sant’Antonio) della basilica del Santo, opera dello scultore padovano Paolo Boldrin.
Era il 22 settembre 1963 quando mons. Antonio Santin procedeva alla consacrazione della chiesa, nel 25° anniversario dell’arrivo dei frati. La struttura ebbe ulteriori interventi di abbellimento, necessari e vitali in una realtà viva qual è la chiesa di una comunità cristiana.
Altare con Crocifisso e statue dei Ss. Francesco ed Antonio (1952)
Il vescovo mons. Antonio Santin consacra la chiesa di S. Francesco (22 settembre 1963)
Negli anni ’70 venivano tolti gli intonaci delle pareti, valorizzando la bellezza essenziale della nuda pietra; pur non accogliendo la proposta fatta dal p. Giovanni Lerario, affermato pittore francescano conventuale, di decorare le cappelle laterali con un suo progetto pittorico, ormai non più rispondente ai nuovo gusti pittorici emersi dopo il concilio Vaticano II, lo si incaricava di disegnare gli artistici lampadari circolari; il coro veniva arricchito degli stalli lignei offerti dalla chiesa di Sant’Antonio Nuovo.
Il progetto della chiesa era stato commesso all’architetto Arnaldo Foschini, docente di architettura all’Università di Roma, in amicizia con p. Alfonso Orlini che lo aveva ripetutamente coinvolto in vari progetti architettonici avviati dall’Ordine.
In una corrispondenza avviata nel dicembre 1939 tra l’architetto e p. Orlini si gettavano le basi del progetto: una chiesa con tetto a capriate, secondo le Costituzioni narbonensi, come citava e voleva Foschini rifacendosi alla tradizione medievale dell’Ordine francescano, trovava invece il netto rifiuto per problemi pratici.
Sul finire del mese, p. Orlini è in grado di trasmettere al podestà di Trieste avv. Luigi Ruzzier, il progetto del Foschini “che non ha bisogno di essere presentato agli italiani e tanto meno a Voi, degnissimo e coltissimo Sig. Podestà: si è deciso di non costruire la cripta per ragioni finanziarie e per evitare l’uso di materiali in contrasto con l’attuale movimento per l’autarchia della Nazione [...] con un soffitto diverso con l’esclusione di materiali autarchici, ma più atto a mantenere la temperatura dell’ambiente evitando con la maggior sicurezza gli eccessi del freddo e del caldo”. Una vera sintesi ideologica, architettonica e pratica, dunque!
Progetto della chiesa di S. Francesco dell’arch. A. Foschini
Con la chiesa, casa di Dio, si pensò anche alla costruzione del convento, casa dei frati! Dall’iniziale abitazione acquistata dalla famiglia Fogolin in via dello Scoglio, si era passati ad una abitazione collocata nella parte retrostante la chiesa che venne dichiarata inagibile dal Comune di Trieste nel 1956 e demolita nel 1962. Si dovette procedere ad un nuovo progetto. Tra 1957 e 1958 il capitolo conventuale e il definitorio della Provincia approvano lavori di ampliamento e trasferimento del convento nella zona attigua alla chiesa, ottenendo una abitazione conventuale dignitosa e spazi ad uso della comunità cristiana.
La costruzione dell’attuale convento venne decisa nel 1962, secondo un progetto elaborato dall’architetto padovano Danilo Negri:
il 17 aprile 1963 con la posa della prima pietra si dava avvio al nuovo edificio benedetto il 4 ottobre 1964, “arioso, dai locali asciutti e ottimamente illuminati, funzionali. Assai adatti allo studio e al raccoglimento religioso”, come si esprimeva p. Serafino Guarise nella sua memoria a ventisette anni dal ritorno dei frati, lasciando aperto un sogno: “A via dello Scoglio e a via Giulia la Provvidenza ha arriso agli umili e fiduciosi. Dal 1938 al 1965 molto si è riusciti a realizzare, quanto a edifici e a tentativi di bene. Anche l’oratorio avrà il suo avvenire. E poiché san Francesco sorge a poche centinaia di metri dall’Università, sarebbe forse un fuori luogo il mettere in programma, tra l’altro, una serena “Casa-pensione” per studenti? Organizzazioni d’ispirazione cristiana e famiglie parrocchiali senza numero e nome non avrebbero di che benedire a una simile impresa”.
P. Vito Pellegrini legge la pergamena per la posa della prima pietra del convento,
presente il ministro provinciale p.Giustino Carpin
Posa della prima pietra (17 aprile 1963)
Comunità francescana e comunità parrocchiale
C’è una legittima domanda a cui dare risposta: il divario cronologico tra la presenza della comunità risalente al 1938 e la costituzione della parrocchia nel 1965.
Fin dall’inizio del loro insediamento i frati sono attivi nella cura pastorale della zona loro affidata, compresa nel territorio della parrocchia di San Giovanni Decollato. P. Egidio Eccher prestava il suo servizio in qualità di cooperatore, successivamente sostituito da un prete francese profugo a Trieste. I frati si erano allora impegnati come penitenzieri nella chiesa di Sant’Antonio Nuovo. A tessere le fila del rapporto con la città fu soprattutto p. Ambrogio Mosconi con il suo equilibrio e la solidità delle sue radici trentine.
Fin dal 1939 il provinciale accennava al vescovo Antonio Santin, entrato in sede nel 1938, circa la possibilità di erigere il territorio affidato ai frati come parrocchia, facendo riferimento all’assenso avuto dall’amministratore apostolico mons. Margotti nell’aprire una “cappella provvisoria che dovrebbe essere il centro pastorale che con il tempo potrebbe venir sistemato in regolare parrocchia ...”.
Il 4 dicembre 1956 il vescovo Santin, dato il numero crescente di abitanti, vedeva la necessità di costituire una nuova realtà parrocchiale ricavandola prevalentemente dal territorio della parrocchia di San Giovanni Decollato e in parte dalla parrocchia della Beata Vergine delle Grazie. Proponeva, scrivendo al ministro provinciale p. Giorgio Montico, l’assunzione dell’impegno parrocchiale e chiedeva che il parroco proposto dai frati avesse una buona esperienza pastorale.
Il definitorio provinciale decise di sentire il parere della comunità, che si espresse negativamente in merito alla proposta. Il parere negativo della comunità veniva fatto proprio dal definitorio, data “l’attuale impossibilità e per mancanza di locali per tutto ciò che è necessario per il buon funzionamento di una parrocchia e per deficienza di personale adatto per svolgere adeguatamente l’attività parrocchiale avendo noi impegnati altrove molti Religiosi”.
Nel settembre 1964 il ministro provinciale p. Vitale Bommarco presenta al vescovo la convinta decisione del definitorio provinciale a procedere nella ratifica che avverrà il 21 aprile 1965, con la presentazione, nel luglio successivo, del primo parroco nella persona di p. Fortunato Zorzini. Scrivendo a lui nell’ottobre del 1965, ringraziandolo per l’organizzazione della festa che istituiva la nuova parrocchia, si esprimeva positivamente, raccogliendo il lungo lavoro precedentemente svolto dai frati: “ho avuto l’impressione che si trattasse non della nascita ma del battesimo di una parrocchia adulta”.
Mons.Antonio Santin e il ministro provinciale p. Vitale Bonmarco
in occasione della costituzione della Parrocchia (3 dicembre 1965)
P. Fortunato Zorzini, primo parroco